Il quinto cavaliere dell’Apocalisse di Sara Galeotti - Bornoincontra

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Il quinto cavaliere dell’Apocalisse di Sara Galeotti

Premio Letterario

"Il quinto cavaliere dell’Apocalisse " di Sala Galeotti
Premio Speciale della Giuria – Edizione 2019


 
 
1. In principio fu il tacchino – Quando il Walter morì, lo svincolo per Borgo Panigale era ormai un serpente ritorto di lamiere. Si snodava, nella caligine di mezzogiorno, come certi frustoni screziati dell’Appennino, placido di un languore antico quanto le bestemmie che, di lì a poco, avrebbero sgretolato il cielo. Increduli, gli illesi colavano fuori dai finestrini, forzavano portiere deformate, strisciavano incontro all’asfalto rovente. Qualcuno chiamava la mamma. Altri fissavano l’orizzonte velato dal fumo con la vacuità delle vacche avviate al macello.
Zio Luigi aprì un occhio, capì d’essere vivo e tuonò un peto. Poi guardò alla propria destra. Il Walter aveva perso la dentiera. Un incisivo solitario ne illuminava, giallastro, il ghigno storto. «Nun fa’ e’ patacca!» mugugnò, menandogli un coppino. Il Walter non reagì, sordo, infine, non per difetto o per dispetto, ma per evidenza: era andato. Finito. Schiattato.
«Tènt salù» disse allora zio Luigi, prima di abbandonare con sorprendente agilità la Fiat Duna. Attorno a lui sciamava l’atterrita anarchia degli erranti di Borgo Panigale.
Prop comm li dindi de babbo, avrebbe detto. Prop comm li dindi.

Secondo Marietta, custode gelosa delle leggende di famiglia, era stata dei tacchini la colpa: se nel rigido inverno del Quarantasei quelle bestiacce feroci, tenere solo da morte, non avessero tentato in massa l’evasione, forse zio Luigi non avrebbe concepito l’Idea. Oppure, come pensammo in molti, il vecchio era ormai avviato a quell’età ingovernabile che compensa con l’inventiva la cataratta. Non aveva bisogno di suggerimenti, lui, quanto di un pannolone a tenuta stagna e della nostra distrazione. Come i fatti dimostrarono, purtroppo, ebbe in abbondanza degli uni e dell’altra.
Tutto cominciò, con ogni probabilità, quando gli rifiutarono il rinnovo della patente. In paese si festeggiò appena più sobriamente che per il santo patrono, fosse pure perché la Duna grigio topo era la prima insidia dalla quale i neofiti del volante imparavano a guardarsi. Condotta a velocità bobbistica sui tornanti e processionale lungo il rettilineo che dai colli correva al mare, l’automobile più brutta mai concepita a Torino era stata per oltre un quarto di secolo l’unico amore di zio Luigi, che non sedeva mai alla guida senza il cappello – rigorosamente di paglia – e mezzi guanti di pelle. Allo sventurato che avesse dovuto accodarsi, invece, quel cassone ricordava l’orrore inevitabile dell’Apocalisse. Ai quattro cavalieri canonici, infatti, ne andava associato un quinto: Senilità.
Guadagnata la strada, zio Luigi non cedeva. Mai. Potevi imprecare, lampeggiare, dare testate al clacson: granitico, cavalcava la linea di mezzeria, finché non avesse raggiunto la destinazione – lui. Tu, esasperato, avevi più speranze di commettere una di quelle fatali imprudenze che trasformano il ventenne di belle speranze in un’edicoletta alla memoria.
Quando dunque, a novant’anni suonati, la motorizzazione gli tolse il diritto d’incidere sulla demografia del riminese, zio Luigi trovò un solo orecchio disposto ad ascoltarlo (uno, perché ultimo sopravvissuto degli amici storici, e uno, perché unico era il timpano a mezzo servizio): il Walter.

2. Il crepuscolo delle suore Giovanni Mancini, detto Walter, aveva novantuno anni e la lucida determinazione a restare vivo finché non fossero crepati i nipoti, soprattutto quei tre o quattro che gli svolazzavano attorno come avvoltoi in attesa dell’eredità. Nel mentre si godeva Liudmila, l’ucraina coscialunga che, stando al borsino delle badanti, valeva due polacche e almeno tre romene, conferendogli, tra i pensionati del CRAL, il prestigio di un diciottenne in Porsche Cayenne.
Il giorno in cui Marchino – l’infame – gli annunciò che la cavalcata libera al fianco della valchiria dell’Est era finita, incalzata dal crepuscolo delle suore baffute della locale RSA, il Walter non ebbe perciò dubbi, né rimpianti: meglio buttarsi subito dalla finestra che campare qualche mese di mele cotte e minestrina. Quello, almeno, era il proposito, quando zio Luigi, nel confidargli il proprio dramma, propose un rimedio buono per entrambi: scappare come i tacchini del povero babbo. Montare sulla Duna, far rotta per l’Ucraina e riparare là dove vivevi da Briatore con due lire, femmine incluse.
«Ma sai te come ci si arriva?» fu l’unica, timida obiezione del Walter. Zio Luigi indossò il cappello e allo sventurato rispose: «Non c’hai l’Atlante de tu’ nipote?».
Marchino, classe 1974, aveva preso la licenza elementare ch’esistevano ancora la DDR e la Jugoslavia.
«Fino all’autostrada c’arriviamo. Poi sempre dritto».

3. Segni particolari: cataratta – «Te dici sempre dritto, ve’? Allora com’è che quest’altri ci vengono incontro?».
Incollato al vetro, zio Luigi sterzò, ché aveva la prostata come un melone: prima di salutare Bologna, era proprio il caso di fare due gocce all’Autogrill.
Ansa.it: Un grave incidente stradale si è registrato intorno alle ore 11.30 sulla A14, all’altezza di Borgo Panigale. Per cause ancora da accertare, un tir si sarebbe schiantato contro il pilone della tangenziale, dopo aver travolto almeno tre vetture. Chiuso il tratto compreso tra Bologna Casalecchio e l’allacciamento A14 Bologna-Taranto in entrambe le direzioni.

Lo zio, comunque, non l’abbiamo ancora ritrovato. Qualcuno dice d’averlo visto nei campi, libero e felice come un tacchino che abbia scampato il Natale.
Motivazione della Giuria
Senilità come “Quinto Cavaliere dell’Apocalisse”:
un racconto originale che suscita risate per forma e contenuto,
in cui due arzilli vecchietti partono per l’Ucraina su una Fiat Duna grigio topo
 
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