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"Biglietti” di Gianfranco Martuscelli

Premio Letterario
“Biglietti” di Gianfranco Martuscelli
Menzione Speciale della Giuria Categoria Adulti – Edizione 2021

 
 
 
Il pubblico ministero Andrea Borgi, come ormai accade da oltre vent’anni, cammina verso casa di ritorno dal tribunale. Sono i primi veri giorni di caldo, c’è un’afa soffocante e l’alta temperatura rallenta i movimenti e annebbia i pensieri. Un piccione beve nella fontana della villa comunale, più avanti due ragazzini seduti su una panchina all’ombra leccano colorati ghiaccioli alla frutta. Il severo PM procede a passo svelto nel suo completo di cotone grigio, non ha tolto la giacca né allentato il nodo della cravatta. Imperturbabile e con lo sguardo basso non si cura del clima e dell’ambiente che lo circonda, non lo ha mai fatto e continua deciso senza imboccare varianti lungo il cammino segnato di una vita sempre uguale. Non come il giudice De Michelis che si cambia prima di uscire dal palazzo di giustizia, schizza via irriconoscibile con la bicicletta assistita e quando si accomoda al bar del centro sembra un turista di passaggio. Il ruolo va mantenuto durante l’intero arco della giornata, senza spropositi tanto meno sbavature di sorta. Il dottor Borgi, del resto, ama ripetere con gli amici che “non c’è uomo più trasgressivo di quello immutabile nel tempo”. Arrivato a poche centinaia di metri da casa, si blocca all’improvviso fissando qualcosa sul marciapiede. Lascia cadere a terra la borsa di pelle che racchiude fascicoli zeppi di pratiche e si china a visionare l’oggetto misterioso. Sgrana gli occhi, non si capacita di ciò che vede. Il sudore impregna le sue dita e repentino lo asciuga con un fazzoletto di stoffa, poi decide di prendere il mozzicone maciullato che stava per calpestare. Tiene ben stretto tra indice e pollice quel filtro di spinello che tanto lo incuriosisce. Il cartoncino arrotolato ha un aspetto conosciuto, lo sbroglia e l’arcano è svelato. Un pezzo del biglietto da visita del figlio si palesa nella sua mano. Attimi di smarrimento seguono a un iniziale stato d’incredulità. Non ci sono dubbi, sull’inconfondibile fondo verdastro si legge la scritta “Avv. Sergio Borgi”. Riposta la prova schiacciante in tasca, il PM entra nella sua dimora scuro in volto. Va subito alla ricerca di Sergio, ma di lui non sembra esserci traccia. Negli otto vani della villa residenziale rimbombano solo i passi pesanti del padrone di casa. Sbatte ogni porta che non svela la presenza del pargolo appena abilitato alla professione forense. Decide di aspettarlo nello studio, seduto dietro la scrivania di castagno ereditata dal padre che, come il nonno, era un notissimo magistrato, tanto erudito quanto integerrimo. Apre uno dei tre cassetti laterali, dà uno sguardo all’interno e dopo un attimo di titubanza decide di prendere la scatola dei sigari. Acceso un cubano comincia a riflettere sull’accaduto.
Il figlio non fuma, gli è sempre stato proibito l’utilizzo di sigarette e non ha mai mostrato interesse verso di esse. La propaganda negativa assimilata durante la gioventù l’ha allontanato da aspirazioni pericolose. Già alle medie Sergio, sofferente d’asma, conosceva tutti i rischi per la sua salute e non si è mai presentato a casa con abiti o alito puzzolenti di fumo. Giusto qualche sigaro col papà, da maggiorenne, per festeggiare le occasioni importanti, ma in quelle circostanze forti colpi di tosse e principi di soffocamento, puntualmente messi in ridicolo dal PM, tradivano una totale idiosincrasia per il fumare. Il novello avvocato non esercita ancora la professione e non avendo clienti deve aver regalato il biglietto da visita, poi trasformato in filtro, a un amico. Nella migliore delle ipotesi, quindi, ciò implica che qualche esponente della sua comitiva si fa le canne. Roba di non poco conto considerato che Borgi padre ha sempre dormito sonni tranquilli riguardo alle frequentazioni del figlio. Conosce bene i compagni di Sergio avendo preteso che tutti, prima o dopo, frequentassero casa. In tal modo ha avuto la possibilità d’individuare eventuali mele marce da scartare per tempo. Forse nuove e sconosciute amicizie post universitarie hanno distrutto un gruppo granitico e immacolato, costruito negli anni con tanta scrupolosità. Ciò che insospettisce maggiormente il PM, accrescendo l’ipotesi di colpevolezza di Sergio, è l’eccessiva vicinanza da casa del ritrovamento del mozzicone. Questa coincidenza gioca a sfavore del giovane legale, appare esageratamente fortuita. Poco importa, di lì a breve il sospetto numero uno sarà interrogato.
Bussano alla porta. Sono le cinque del pomeriggio e il dott. Andrea non aspetta visite. Strano, il tipo sull’uscio deve aver fretta, sembra che il dito gli sia rimasto attaccato al campanello.
«Ciao papà, ho scordato le chiavi nel giubbino…»
«Pensi che io sia sordo o te la stai facendo sotto? Beccati questo, così ricorderai di non dimenticare!» e parte una carocchia sul cranio dello smemorato.
Sergio sa che il padre non si fa problemi ad allungare le mani ed è abituato ai colpetti delle sue nocche, ma per evitare ulteriori impatti violenti sguscia fulmineo in camera sua. Un attimo e il PM gli si staglia davanti sventolando il pezzo di biglietto da visita.
«Guarda cosa ho trovato non lontano di qui. Qualcuno si fuma il tuo nome e la tua professionalità. Spero solo che la voglia di bruciare le tappe non porti a un’autocombustione spontanea. Attento a quel che fai e con chi bazzichi, il possesso di stupefacenti prevede la pena minima di sei mesi. Per non parlare poi di una carriera stroncata sul nascere…» Sergio si sta cambiando, è a torso nudo. I muscoli del torace, scolpiti da duri allenamenti da body builder incallito, sono tesi come durante un’esibizione di una gara culturistica. Non un pelo orna quella carne gonfia e liscia. La moderna mascolinità nasconde timori e allarmi figli di vecchi trascorsi familiari. Il rampollo è sbigottito, i suoi occhi sono incollati al cartoncino verde tra le dita ferme del padre.
«Non è come pensi, si tratta di una fatalità. Non giungere subito a facili conclusioni, io non ne so niente!»
«Certo, i tuoi bigliettini da visita li distribuiscono in tutti i tabacchi e le cartolerie d’Italia… Che ne puoi sapere tu della mia sconcertante scoperta? Ma non dire fandonie! Confessa e avrai uno sconto di pena», sorride il pubblico ministero per poi ritornare immediatamente serio.
Sergio non sa come comportarsi, ma prima di optare per una veloce fuga strategica pronuncia al padre una frase inattesa: «Io non mi drogo, ma nel ventunesimo secolo non puoi scandalizzarti per uno stupido spinello». È una mezza ammissione di colpa, il PM non fa una piega, ha già chiaro in mente il prossimo passo da compiere: ispezionare la sua stanza. Lì, di scuro, salterà fuori qualche prova inconfutabile. Questa volta non deve disporre nemmeno il mandato di perquisizione, è lui ad agire personalmente.
Il primo posto in cui controlla è il guardaroba a tre ante ricolmo di vestiti alla moda, ma né pantaloni né giacche custodiscono indizi compromettenti. Dopo aver frugato nei comodini del letto di ferro battuto a una piazza e mezzo, si ricorda dell’anforetta sulla libreria che il figlio ha portato dal suo ultimo viaggio in Grecia. Ecco ciò che cercava! Sul fondo del souvenir giace un pacchetto di cartine lunghe. Al suo rientro, Sergio trova stravaccato sul divano del soggiorno il padre con un’insolita aria sorniona. Nella mano destra il filtro, in quella sinistra le cartine. Di fronte all’evidenza l’avvocato in erba è costretto a confessare: di tanto in tanto fuma canne. Il PM stranamente non sembra arrabbiato, prende il figlio sottobraccio e lo porta con sé fino al computer del suo ufficio. Non vuole infierire, l’aspetto è conciliante. Infatti: «Se prometti di smettere riceverai in cambio il master all’Aarom University di Boston che tanto agognavi. Un prestigio per pochi eletti…» Sul monitor c’è il volo oltreoceano pronto per essere prenotato. Sergio dapprima tentenna, poi alla vista dell’indice paterno che picchietta dolce sul pulsante d’invio, abiura l’uso futuro di tutte le droghe. Un clic e il biglietto aereo è comprato. «Grazie papà, dietro quella scorza dura nascondi un’insospettata tenerezza. Chissà quanti segreti sorprendenti tieni in serbo nel tuo animo impenetrabile…»
Rimasto da solo nello studio, il dott. Borgi estrae dal cassetto della scrivania un luccicante vassoietto d’argento con impresse le iniziali “A. B.”. Sistema una lunga pista di coca, arrotola una banconota e portandola al naso pensa: «Ho seguito la pista giusta anche questa volta. Sergio è proprio un figlio d’arte… ma io uso solo biglietti da cento».
Motivazione della Giuria
Il PM Andrea Borgi, imperturbabile e irreprensibile, di rientro a casa scopre una “cartina” sospetta. L’indiziato principale è Sergio, promettente giovane legale e “figlio d’arte”. Un racconto dalla narrazione brillante, con tempi, descrizioni e dialoghi ben calibrati che coinvolgono il lettore nell’investigazione fino al colpo di scena finale.
 
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